Studio Legale Internazionale

lunedì 6 ottobre 2014

La disciplina tributaria sanziona l’imprenditore che abbia omesso il versamento di tributi dichiarati, senza tuttavia distinguere tra i soggetti meritevoli di punizione, perché hanno posto in essere tale condotta allo solo scopo di appropriarsi delle somme sottratte all’Erario, e coloro i quali non siano riusciti a far fronte al debito fiscale perché privi della necessaria liquidità a causa di difficoltà finanziarie.
La seconda situazione descritta è oggi sempre più frequente a causa dell’attuale crisi economica.

L’imprenditore, vuoi perché non incassa i crediti vantati nei confronti dei propri clienti (siano essi privati o pubbliche amministrazioni), vuoi perché gli sono negati finanziamenti dal sistema bancario, deve decidere se versare i tributi dichiarati o – ad esempio – pagare i dipendenti.
La situazione è aggravata da distorsioni proprie del sistema tributario: ad esempio, l’obbligo di versamento dell’Iva indicata nella fattura emessa sussiste anche nel caso in cui il credito verso il cliente non sia stato ancora riscosso. Il Legislatore ha cercato di far fronte a questo problema introducendo il regime “IVA per cassa” per le operazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 2012: ciononostante rimangono ancora numerosi i procedimenti penali a carico di imprenditori per omesso pagamento di tributi dichiarati causato da carenza di liquidità.


Recentemente la giurisprudenza di legittimità si è espressa statuendo che, non commette reato chi non versa l'Iva a causa della crisi di liquidità dovuta dal fallimento del cliente principale, trattandosi di un evento del tutto estraneo alla volontà del contribuente. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione sezione penale con la recentissima sentenza n. 40394 depositata il 30.09.2014.
La Suprema Corte ha accolto la tesi difensiva dell'imputato evidenziando che l'omesso versamento di tributi per difficoltà finanziarie è un tema frequente nell'ultimo periodo. 
Si tratta però di questioni che vanno affrontate “caso per caso” non potendosi quindi applicare principi generali.
Secondo la difesa, infatti, il Giudice territoriale aveva completamente ignorato che l'omesso versamento era diretta conseguenza del fallimento del cliente principale (quasi esclusivo) della cooperativa. L'evasione contestata, quindi, non poteva ritenersi causata da mala gestio o da intenti truffaldini, ma solo da forza maggiore. 
Il caso è quello del legale rappresentante di una cooperativa, condannato per omesso versamento Iva, reato previsto dall'articolo 10 ter del Dlgs 74/2000. In particolare questa norma prevede che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun esercizio, l'Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Innanzitutto, l'esimente invocata va identificata in quell'evento proveniente dalla natura o da fatto umano che costituisce una forza maggiore. Per ravvisare tale causa è necessario aver acquisito la prova rigorosa che la violazione è dipesa da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente. 
In altre parole deve trattarsi di un'azione od omissione incosciente ed involontaria. 
L'evento poi deve comunque essere “determinante” per la commissione del reato. 
Nella specie, il giudice territoriale aveva negato la sussistenza di tale causa di forza maggiore in misura del tutto sommaria.
In proposito, la Cassazione ha precisato che il reato di omesso versamento Iva è caratterizzato da dolo generico, vale a dire che non è necessario uno scopo specifico (ad esempio quello di evadere le imposte). La genericità del dolo avrebbe così imposto un accertamento più specifico, certamente possibile data la numerosa documentazione prodotta dalla difesa.

Il contribuente, infatti, aveva dimostrato che il cliente, quasi unico ed esclusivo, della cooperativa da lui rappresentata era fallito. Si trattava certamente di un evento del tutto esterno alla volontà dell'imputato. 
Inoltre, in linea generale la carenza di mezzi finanziari, da cui materialmente deriva l'impossibilità di versare il tributo, non influisce sulla struttura oggettiva del reato. 

Alla luce di tali esimenti, dunque, non è sufficiente confermare la sussistenza del dolo per la mera omissione del versamento del tributo, poiché sono necessari ulteriori riscontri.
La decisione di appello, proprio perché non aveva constatato in misura adeguata tali circostanze, andava annullata e rinviata per nuovo esame. 

Altre pronunce di merito che si segnalano sono:

Trib. Trento, 12 dicembre 2012.
Con la sentenza del 12 dicembre 2012, il Tribunale di Trento ha assolto l’imputato dal reato di omesso versamento dell’Iva non soltanto per inidoneità della prova in ordine alla sussistenza del dolo, ma anche perché il fatto è stato ritenuto non offensivo per il bene giuridico protetto.
Il Tribunale ha valorizzato i seguenti elementi in fatto:  

- L ’accordo raggiunto con l’Agenzia delle Entrate per procedere alla rateizzazione del debito tributario e il regolare pagamento degli importi concordati; 

- L ’assenza di precedenti penali a carico dell’imputato e il costante adempimento degli obblighi tributari negli anni precedenti ai fatti contestati;

- I danni subiti dall’ imprenditore a seguito dell’inadempimento fraudolento dei clienti.

Trib. Milano, Ufficio GIP, 7 gennaio 2013.

Nel 2008, una s.r.l., pur avendo prima rilasciato ai soggetti sostituiti certificazione delle ritenute effettuate e poi presentato la dichiarazione annuale di sostituto di imposta, non aveva versato il dovuto nei termini. L’amministratore unico e legale rappresentante della s.r.l. era imputato del reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10 bis, d.lgs. n. 74 del 2000).

In sede di opposizione al decreto penale di condanna, la difesa dell’imputato allegava che il mancato versamento delle ritenute era stato causato dalla mancata riscossione di crediti vantati dalla s.r.l. nei confronti di alcuni enti pubblici. Per suffragare tali affermazioni, la difesa produceva estratto del bilancio, raccomandate di intimazione di pagamento ai creditori, atti transattivi. La difesa rilevava altresì che la s.r.l., ricevuta la cartella esattoriale, aveva presentato istanza di rateazione e aveva puntualmente versato le rate concordate.

Nella sentenza del 7 gennaio 2013, il Giudice per le indagini preliminari revoca il decreto penale di condanna e dichiara non doversi procedere a carico di un imputato per il reato di omesso versamento di ritenute certificate, escludendo la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato perché, nel caso di specie, il mancato pagamento era stato causato dalla ritardata riscossione dei crediti vantati nei confronti delle controparti contrattuali. 

Secondo il GIP, l’imputato ha assunto ogni iniziativa ragionevolmente esigibile, ma è stato “costretto” a non versare le ritenute a seguito della condotta omissiva e dilatoria assunta dagli enti pubblici nei rapporti contrattuali con la s.r.l.

Il GIP rileva in particolare i seguenti elementi in fatto: 

- I crediti risalivano già al 2005;
- I  crediti erano di ammontare ingenti;
- La s.r.l. aveva percorso varie strade per recuperare liquidità (ad esempio     ricorrendo alla cessione dei crediti a terzi); 
- La s.r.l. aveva anche fatto ricorso ad atti transattivi, così recuperando le somme successivamente utilizzate per il pagamento rateale degli importi riscossi tramite cartella esattoriale; 
- La s.r.l. aveva puntualmente versato le rate concordate, comprensive di interessi e sanzioni.


Il GIP osserva che l’imputato non poteva neppure prevedere quale sarebbe stata la condotta delle proprie controparti contrattuali. A tale proposito, sono menzionate la Direttiva 2000/35/CE, adottata per contrastare i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali (e sostituita dalla Direttiva 2011/7/EU), e il d.lgs. 9 novembre 2012, n. 192, con il quale è stata data attuazione alla disciplina europea.

Trib. Novara, sez. pen., 20 marzo 2013.
Una società, pur avendo posto in essere gli adempimenti dichiarativi, non versava nei termini gli importi dovuti a titolo di ritenute e Iva con riferimento al periodo di imposta 2006. La legale rappresentante della società contribuente era imputata dei reati di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10 bis, d.lgs. n. 74 del 2000) e omesso versamento di Iva (art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000).

La strategia difensiva della legale rappresentante poggiava sulla dimostrazione dell’esistenza di difficoltà finanziarie non imputabili a mala gestio e tanto gravi da impedire l’adempimento dei crediti tributari: l’imputata aveva inoltre “provocato” la messa in liquidazione della società, ripianato i debiti nei confronti del personale attingendo al patrimonio personale e concordato con Equitalia un piano di rateazione dei debiti tributari.
Nella sentenza del 20 marzo 2013, questi elementi probatori vengono valorizzati dal Tribunale di Novara per dichiarare l’assoluzione della legale rappresentante perché il fatto non costituisce reato. Vagliando la sussistenza del requisito di colpevolezza – intesa quale rimproverabilità dei fatti ascritti all’imputata – il Tribunale di Novara osserva che il sopraggiungere di una crisi di liquidità di dimensioni tanto importanti da comportare lo scioglimento e la messa in liquidazione dell’ente rappresenta una sorta di forza maggiore che esclude la volontà del soggetto di omettere il versamento dei tributi dovuti. Il Tribunale di Novara osserva altresì che una situazione di dissesto – quale quella realizzatasi nel caso di specie – esclude la rilevanza penale dei fatti soltanto quando sia determinata da fattori che non rientrano nella sfera di controllo dell’imprenditore.

Trib. Milano, 22 maggio 2013
Con la sentenza del 22 maggio 2013, il Tribunale di Milano ha assolto con la formula “per non aver commesso il fatto” l’amministratore di un consorzio che non è stato in grado di versare i tributi dovuti a causa del mancato accantonamento delle somme necessarie da parte dei soggetti che lo avevano preceduto nella gestione dell’ente.

Avv. Valentina Giarrusso & Avv. Anna Realmuto 

Corporate & Commercial 

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