La disciplina tributaria sanziona
l’imprenditore che abbia omesso il versamento di tributi dichiarati, senza tuttavia distinguere tra
i soggetti meritevoli di punizione, perché hanno posto in essere tale condotta
allo solo scopo di appropriarsi delle somme sottratte all’Erario, e coloro i
quali non siano riusciti a far fronte al debito fiscale perché privi della
necessaria liquidità a causa di difficoltà finanziarie.
La seconda situazione descritta è oggi
sempre più frequente a causa dell’attuale crisi economica.
L’imprenditore, vuoi perché non
incassa i crediti vantati nei confronti dei propri clienti (siano essi
privati o pubbliche amministrazioni), vuoi perché gli sono negati
finanziamenti dal sistema bancario, deve decidere se versare i tributi
dichiarati o – ad esempio – pagare i dipendenti.
La situazione è aggravata da distorsioni
proprie del sistema tributario: ad esempio, l’obbligo di versamento
dell’Iva indicata nella fattura emessa sussiste anche nel caso in cui il
credito verso il cliente non sia stato ancora riscosso. Il Legislatore ha
cercato di far fronte a questo problema introducendo il regime “IVA per
cassa” per
le operazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 2012: ciononostante
rimangono ancora numerosi i procedimenti penali a carico di imprenditori per
omesso pagamento di tributi dichiarati causato da carenza di liquidità.
Recentemente
la giurisprudenza di legittimità si è espressa statuendo che,
non commette reato chi non versa l'Iva a causa della crisi di liquidità dovuta
dal fallimento del cliente principale, trattandosi di un evento del tutto
estraneo alla volontà del contribuente. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione
sezione penale con la recentissima sentenza
n. 40394 depositata il 30.09.2014.
La
Suprema Corte ha accolto la tesi difensiva dell'imputato evidenziando che
l'omesso versamento di tributi per difficoltà finanziarie è un tema frequente
nell'ultimo periodo.
Si tratta però di questioni che vanno affrontate “caso per caso” non potendosi quindi applicare principi generali.
Si tratta però di questioni che vanno affrontate “caso per caso” non potendosi quindi applicare principi generali.
Secondo
la difesa, infatti, il Giudice territoriale aveva completamente ignorato che
l'omesso versamento era diretta conseguenza del fallimento del cliente
principale (quasi esclusivo) della cooperativa. L'evasione contestata, quindi, non
poteva ritenersi causata da mala gestio o da intenti truffaldini, ma solo da
forza maggiore.
Il
caso è quello del legale rappresentante di una cooperativa, condannato per
omesso versamento Iva, reato previsto dall'articolo 10 ter del Dlgs 74/2000. In particolare questa norma prevede
che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, per
un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun esercizio, l'Iva dovuta
in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento
dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo.
Innanzitutto,
l'esimente invocata va identificata in quell'evento proveniente dalla natura o
da fatto umano che costituisce una forza maggiore. Per ravvisare tale causa è
necessario aver acquisito la prova rigorosa che la violazione è dipesa da un
evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente.
In
altre parole deve trattarsi di un'azione od omissione incosciente ed
involontaria.
L'evento poi deve comunque essere “determinante” per la commissione del reato.
Nella specie, il giudice territoriale aveva negato la sussistenza di tale causa di forza maggiore in misura del tutto sommaria.
L'evento poi deve comunque essere “determinante” per la commissione del reato.
Nella specie, il giudice territoriale aveva negato la sussistenza di tale causa di forza maggiore in misura del tutto sommaria.
In
proposito, la Cassazione ha precisato che il reato di omesso versamento Iva è
caratterizzato da dolo generico, vale a dire che non è necessario uno scopo
specifico (ad esempio quello di evadere le imposte). La genericità del dolo avrebbe così
imposto un accertamento più specifico, certamente possibile data la numerosa
documentazione prodotta dalla difesa.
Il
contribuente, infatti, aveva dimostrato che il cliente, quasi unico ed
esclusivo, della cooperativa da lui rappresentata era fallito. Si trattava
certamente di un evento del tutto esterno alla volontà dell'imputato.
Inoltre,
in linea generale la carenza di mezzi finanziari, da cui materialmente deriva
l'impossibilità di versare il tributo, non influisce sulla struttura oggettiva
del reato.
Alla luce di tali esimenti, dunque, non è sufficiente confermare la sussistenza del dolo per la mera omissione del versamento del tributo, poiché sono necessari ulteriori riscontri.
La decisione di appello, proprio perché non aveva constatato in misura adeguata tali circostanze, andava annullata e rinviata per nuovo esame.
Altre pronunce di
merito che si segnalano sono:
Trib. Trento, 12 dicembre 2012.
Con la sentenza del 12 dicembre 2012, il
Tribunale di Trento ha assolto l’imputato dal reato di omesso versamento
dell’Iva non soltanto per inidoneità della prova in ordine alla sussistenza del
dolo, ma anche perché il fatto è stato ritenuto non offensivo per
il bene giuridico protetto.
Il Tribunale ha valorizzato i seguenti
elementi in fatto:
- L ’accordo raggiunto con l’Agenzia delle Entrate per procedere alla rateizzazione del debito tributario e il regolare pagamento degli importi concordati;
- L ’assenza di precedenti penali a carico dell’imputato e il costante adempimento degli obblighi tributari negli anni precedenti ai fatti contestati;
- I danni subiti dall’ imprenditore a seguito dell’inadempimento fraudolento dei clienti.
- L ’accordo raggiunto con l’Agenzia delle Entrate per procedere alla rateizzazione del debito tributario e il regolare pagamento degli importi concordati;
- L ’assenza di precedenti penali a carico dell’imputato e il costante adempimento degli obblighi tributari negli anni precedenti ai fatti contestati;
- I danni subiti dall’ imprenditore a seguito dell’inadempimento fraudolento dei clienti.
Trib. Milano, Ufficio GIP, 7 gennaio 2013.
Nel 2008, una s.r.l., pur avendo prima
rilasciato ai soggetti sostituiti certificazione delle ritenute effettuate e
poi presentato la dichiarazione annuale di sostituto di imposta, non aveva
versato il dovuto nei termini. L’amministratore unico e legale rappresentante
della s.r.l. era imputato del reato di omesso versamento di ritenute
certificate (art. 10 bis, d.lgs. n. 74 del 2000).
In sede di opposizione al decreto penale
di condanna, la difesa dell’imputato allegava che il mancato versamento delle
ritenute era stato causato dalla mancata riscossione di crediti
vantati dalla s.r.l. nei confronti di alcuni enti pubblici.
Per suffragare tali affermazioni, la difesa produceva estratto del bilancio,
raccomandate di intimazione di pagamento ai creditori, atti transattivi. La
difesa rilevava altresì che la s.r.l., ricevuta la cartella esattoriale, aveva
presentato istanza di rateazione e aveva puntualmente versato
le rate concordate.
Nella sentenza del 7 gennaio 2013, il
Giudice per le indagini preliminari revoca il decreto penale di condanna e
dichiara non doversi procedere a carico di un imputato per il reato di omesso
versamento di ritenute certificate, escludendo la sussistenza dell’elemento
soggettivo del reato perché, nel caso di specie, il mancato pagamento era stato
causato dalla ritardata riscossione dei crediti vantati nei confronti delle
controparti contrattuali.
Secondo il GIP, l’imputato ha
assunto ogni iniziativa ragionevolmente esigibile, ma è stato
“costretto” a non versare le ritenute a seguito della condotta omissiva e
dilatoria assunta dagli enti pubblici nei rapporti contrattuali con la s.r.l.
Il GIP rileva in particolare i seguenti
elementi in fatto:
- I crediti risalivano già al 2005;
- I crediti erano di ammontare ingenti;
- La s.r.l. aveva percorso varie strade per recuperare liquidità (ad esempio ricorrendo alla cessione dei crediti a terzi);
- La s.r.l. aveva anche fatto ricorso ad atti transattivi, così recuperando le somme successivamente utilizzate per il pagamento rateale degli importi riscossi tramite cartella esattoriale;
- La s.r.l. aveva puntualmente versato le rate concordate, comprensive di interessi e sanzioni.
- I crediti risalivano già al 2005;
- I crediti erano di ammontare ingenti;
- La s.r.l. aveva percorso varie strade per recuperare liquidità (ad esempio ricorrendo alla cessione dei crediti a terzi);
- La s.r.l. aveva anche fatto ricorso ad atti transattivi, così recuperando le somme successivamente utilizzate per il pagamento rateale degli importi riscossi tramite cartella esattoriale;
- La s.r.l. aveva puntualmente versato le rate concordate, comprensive di interessi e sanzioni.
Il GIP osserva che l’imputato non poteva neppure prevedere quale sarebbe stata la condotta delle proprie controparti contrattuali. A tale proposito, sono menzionate la Direttiva 2000/35/CE, adottata per contrastare i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali (e sostituita dalla Direttiva 2011/7/EU), e il d.lgs. 9 novembre 2012, n. 192, con il quale è stata data attuazione alla disciplina europea.
Trib. Novara, sez. pen., 20 marzo 2013.
Una società, pur avendo posto in essere
gli adempimenti dichiarativi, non versava nei termini gli importi dovuti a
titolo di ritenute e Iva con riferimento al periodo di imposta 2006. La legale
rappresentante della società contribuente era imputata dei reati di omesso
versamento di ritenute certificate (art. 10 bis, d.lgs. n. 74 del
2000) e omesso versamento di Iva (art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del
2000).
La strategia difensiva della legale
rappresentante poggiava sulla dimostrazione dell’esistenza di difficoltà
finanziarie non imputabili a mala gestio e tanto gravi da
impedire l’adempimento dei crediti tributari: l’imputata aveva inoltre
“provocato” la messa in liquidazione della società, ripianato
i debiti nei confronti del personale attingendo al patrimonio personale e
concordato con Equitalia un piano di rateazione dei debiti tributari.
Nella sentenza del 20 marzo 2013, questi
elementi probatori vengono valorizzati dal Tribunale di Novara per dichiarare
l’assoluzione della legale rappresentante perché il fatto non
costituisce reato. Vagliando la sussistenza del requisito di colpevolezza –
intesa quale rimproverabilità dei fatti ascritti all’imputata
– il Tribunale di Novara osserva che il sopraggiungere di una crisi di
liquidità di dimensioni tanto importanti da comportare lo scioglimento e la
messa in liquidazione dell’ente rappresenta una sorta di forza maggiore che
esclude la volontà del soggetto di omettere il versamento dei tributi dovuti.
Il Tribunale di Novara osserva altresì che una situazione di dissesto – quale
quella realizzatasi nel caso di specie – esclude la rilevanza penale dei fatti
soltanto quando sia determinata da fattori che non rientrano nella sfera
di controllo dell’imprenditore.
Trib. Milano, 22 maggio 2013
Con la sentenza del 22 maggio 2013, il
Tribunale di Milano ha assolto con la formula “per non aver commesso il fatto”
l’amministratore di un consorzio che non è stato in grado di versare i tributi
dovuti a causa del mancato accantonamento delle somme
necessarie da parte dei soggetti che lo avevano preceduto nella gestione
dell’ente.
Avv.
Valentina Giarrusso & Avv. Anna Realmuto
Corporate & Commercial
Giambrone | Studio Legale Internazionale
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