Studio Legale Internazionale

martedì 11 novembre 2014


Il decreto Sviluppo del 2012 ha introdotto una importante novità a favore delle aziende in una fase di crisi del sistema bancario e finanziario che permette a società spa ed srl di emettere titoli di credito in cambio di un prestito da parte di investitori. I minibond sono una piccola rivoluzione che potrebbero quasi 110 mila imprese e migliorare l’accesso alla liquidità da parte delle imprese per un valore tra i 50 e i 100 miliardi di euro l’anno.  




Perchè Le Piccole e Medie Imprese Preferiscono i Mini-bond

La PMI oggi trova serie difficoltà ad ottenere finanziamenti dal sistema bancario che non riesce più a svolgere la propria funzione e la maggior parte delle banche è essa stessa in una fase di crisi che non riesce a superare agevolmente.
Per gli investimenti aziendali, gli imprenditori hanno a disposizione un insieme di strumenti, come ad esempio i mini-bond, obbligazioni ad alta agevolazione fiscale varati nel 2012 per rafforzare il patrimonio delle Pmi non quotate, che al momento appaiono gli strumenti preferiti dalle aziende che hanno piani di sviluppo o per per quelle che vogliono ripianare debiti pregressi liberando risorse da investire.
Sono semplici obbligazioni, dunque titoli di credito emessi da una società in cambio di un prestito. Come tutte le obbligazioni hanno un tasso d’interesse riconosciuto sotto forma di cedola semestrale o annuale, e una data di scadenza.
In cosa differiscono dalle obbligazioni corporate classiche?
La novità principale, contenuta nel decreto Sviluppo che ha introdotto i minibond a fine 2012, è che possono venire emessi da piccole e medie imprese (da qui il termine mini) senza ricorrere necessariamente a intermediazione bancaria o finanziaria. Anche i prospetti informativi richiesti sono molto più snelli rispetto a quelli tradizionali: basta la certificazione degli ultimi due bilanci.

Chi può emetterli?
Tutte le società (spa ma anche srl) con un fatturato annuo superiore ai due milioni di euro e che abbiano fatto certificare da una società di revisione l’ultimo bilancio approvato. Non occorre essere quotati e non è obbligatorio possedere un rating.


Chi può sottoscriverli?
La sottoscrizione di queste obbligazioni è riservata a investitori istituzionali professionali ed altri soggetti qualificati. Non è prevista per ora la diffusione ai piccoli risparmiatori di questi titoli di debito.

Un privato può sottoscrivere un minibond?
Non al momento dell’emissione, riservata appunto agli addetti ai lavori. Esiste una sorta di mercato secondario sul circuito Extra Mot Pro, dove accanto ai minibond classici che i titolari decidono di scambiare si trovano anche minibond emessi da società più grandi che hanno deciso di approfittare dei minori vincoli.

Quanto vale il mercato?
Il mercato dei minibond coinvolge teoricamente quasi 110 mila imprese e potrebbe valere tra i 50 e i 100 miliardi di euro l’anno, non a caso la stessa cifra che si è persa negli ultimi anni per effetto della stretta creditizia. Lo strumento, del resto, era stato messo a punto dal governo Monti proprio per migliorare l’accesso alla liquidità da parte delle piccole imprese. Secondo un’analisi di Crif Intelligence, tuttavia, le candidate ideali (solo spa, fatturato superiore ai 5 milioni e utili medi del 10 per cento) sono poco più di 10 mila. Abbastanza comunque per dare vita a un interessante mercato alternativo del credito.

Chi lo ha già fatto?
Attualmente i titoli proposti sull’Extra Mot Pro (non è obbligatorio, ma è la formula fiscalmente più conveniente per gli investitori) sono una trentina. Hanno emesso minibond realtà cooperative medio-grandi come Manutencoop e Filca, realtà più piccole del settore costruzioni e real estate, e ancora web company come la modenese Primisuimotori, aziende calzaturiere, società finanziarie (Fi Holding), di servizi (Microcinema) e del segmento luxury (Jsh Group).

Qual è il ruolo delle banche?
Non è necessario appoggiarsi a una banca per emettere un minibond. Gli istituti di credito, però, hanno fiutato per primi l’affare e in molti dei casi sopracitati hanno fatto comunque da advisor per il collocamento di queste obbligazioni semplificate. Altre banche (è il caso di Akros, Bpm, Mps, Popolare di Vicenza e Intesa San Paolo), così come diversi fondi di investimento, hanno già lanciato o stanno per lanciare prodotti obbligazionari che sono, in estrema sintesi, panieri composti da minibond. 

Quali costi ci sono per aziende e risparmiatore?

I costi per le società emettitrici sono volutamente molto bassi, non essendo previste commissioni. In generale con meno di 40 mila euro è possibile farsi assistere da un advisor, certificare i propri bilanci e presentare la domanda di ammissione alla Consob. Con altri 20 mila euro è possibile farsi assegnare un rating dalle società specializzate: il rating, come abbiamo detto, non è obbligatorio ma il suo conferimento, specie se elevato, rende più appetibile l’emissione e consente alla società di indebitarsi a tassi più bassi. Per i risparmiatori i costi sono gli stessi di una sottoscrizione analoga (obbligazione o bond), ma restano le commissioni di piattaforma.

Rendimenti e rischi

Le cedole sono molto interessanti, soprattutto in un momento come questo in cui le emissioni di titoli di Stato e big corporate bond offrono tassi relativamente bassi: i titoli attualmente scambiati sull’Extra Mot Pro presentano un rendimento medio del 5 per cento netto, con punte che raggiungono il 9. Come sempre, però, occorre ricordare la regola aurea dell’investitore: ad alti rendimenti corrispondono sempre alti rischi. Nel caso dei minibond, poi, gli imprevisti sono ancora maggiori perché legati da un lato alle scelte del sottoscrittore primario (si può acquistare solo ciò di cui voglia in qualche modo “liberarsi”) e, dall’altro, alla scarsa negoziabilità e all’alta volatilità dei titoli una volta in portafoglio
.
In questo contesto anche il legislatore, ben conscio dell’importanza che lo sviluppo di questo mercato potrebbe assumere per le PMI italiane, è intervenuto sulla normativa esistente, attraverso l’adozione del c.d. Decreto Destinazione Italia (D.L. 145/2013 convertito con la Legge 9/2014) per fare in modo che tali operazioni possano essere assistite da forme di garanzia.

Il risultato di questo nuovo provvedimento normativo, articolato su più linee di intervento, sembra molto interessante: in primo luogo è stata estesa la disciplina dell’imposta sostitutiva ai finanziamenti strutturati come prestiti obbligazionari, attraverso la modifica articolo 20-bis del DPR 601/1973, con la conseguenza che è ora applicabile alle emissioni di minibond il regime dell’imposta sostitutiva (pari allo 0,25% del valore del finanziamento) in relazione a qualunque tipo di garanzia, da chiunque prestata, in qualsiasi momento prestata, alle eventuali surroghe, sostituzioni, frazionamenti, cancellazioni e postergazioni, alle cessioni di credito e ai trasferimenti delle garanzie conseguenti alle cessioni delle predette obbligazioni.

Il Decreto ha inoltre previsto che il Fondo di Garanzia per le PMI si inserisca nel contesto dell’emissione di minibond, come garante diretto a favore di banche (o pool di banche) e altri intermediari finanziari sottoscrittori degli strumenti, o come garante indiretto (contro-garante), cioè riassicurando le garanzie concesse all'emittente, nell'ambito dell’operazione di emissione, da un confidi e come garante diretto di società di gestione del risparmio che, in nome e per conto dei fondi comuni d’investimento da esse gestiti, sottoscrivano obbligazioni o titoli similari emessi dalle PMI.
Tale garanzia potrà essere concessa a fronte sia di singole operazioni di sottoscrizione di obbligazioni e titoli similari sia di portafogli di operazioni.

Sempre nel contesto di operazioni di riassicurazione rientra anche l’attività svolta da SACE, che, nell'ambito di emissioni di minibond da parte delle PMI, offre una garanzia nel limite del 70% del valore del prestito obbligazionario emesso da aziende con programmi di internazionalizzazione ed una componente di fatturato estero superiore al 10%.

Infine la norma stabilisce che i minibond costituiscano, ancorché non destinati ad essere negoziati in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione e anche se privi di valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi, attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (e successive modificazioni), sancendo quindi la compatibilità con le vigenti disposizioni in materia di limiti di investimento di fondi pensione, per gli investimenti effettuati, direttamente o indirettamente, in tali emissioni.

Appare quindi evidente come l’insieme di questi fattori possa contribuire ad una ulteriore fase di sviluppo del mercato, posto che lo strumento finanziario inizialmente ideato dal legislatore è stato corretto e perfezionato (auspicando che l’adozione dei decreti attuativi delle predette norme sia veloce e tempestiva), al fine di renderlo maggiormente interessante sia per le società emittenti che per gli investitori. Tale crescita consentirebbe inoltre l’apertura del mercato all'interesse degli investitori istituzionali esteri, con ovvi benefici per l’intero sistema e con la creazione di una maggiore quantità di fondi disponibili ad investire nelle prossime emissioni.

La novità dei mini-bond rappresenta un'opportunità di crescita culturale per le imprese, che oggi possono approcciarsi al mercato con le mini-obbligazioni e domani potrebbero anche pensare a una Ipo (International Public Offer) e alla quotazione in Borsa.


Avv. Anna Realmuto
Giambrone | Studio Legale Internazionale



martedì 28 ottobre 2014

La nuova Legge di Stabilità 2015 ha introdotto il nuovo regime dei minimi che diventa regime agevolato autonomo cd. regime forfetario. Si dovrà comunque attendere l'emanazione del decreto attuativo di concerto con l'Agenzia delle Entrate e INPS.

Modifiche e nuova disciplina.

            Beneficiari del “vecchio” regime dei minimi

In primo luogo, coloro che rientrano nei requisiti del vecchio regime dei minimi, quindi che non hanno terminato i 5 anni di applicazione o non hanno raggiunto i 35 anni di età, possono continuare ad applicare l'imposta sostitutiva al 5% sempre se rispettano il limite dei ricavi fino a 30.000 euro o possono decidere di passare al regime forfetario con una riduzione dell'aliquota sostitutiva di un terzo quindi al 10%.

       Chi non rientra nel regime dei minimi o apre una nuova impresa.

Coloro che, invece, ad oggi non hanno i requisiti per entrare nel regime dei minimi o aprono una nuova impresa, accedono direttamente al nuovo regime agevolato autonomo con aliquota al 15%.


3        Regime transitorio – passaggio dal regime dei minimi al nuovo regime autonomo cd. forfetario.
Il regime transitorio, quindi, il passaggio dai minimi al nuovo regime autonomo cd. forfetario, stabilisce per coloro i quali al 31 dicembre 2014 si trovino nel regime dei minimi, la possibilità di effettuare il passaggio automatico al regime forfetario se possiedono determinati requisiti: 
-          non abbiano effettuato spese per collaboratori sopra i 5.000 lordi;
-    non abbiano avuto spese per l'acquisto di beni strumentali sopra ai 20.000 e che l'attività non rappresenti la mera prosecuzione rispetto ad un’eventuale precedente attività lavorativa di lavoro dipendente o autonomo.

 Il regime forfetario 2015 riconosce a questi contribuenti un'agevolazione che consiste:
-       nella riduzione di un terzo dell'aliquota sostituiva per gli anni residuali rispetto ai 3 anni di regime agevolato che spettano ai soggetti che applicano il regime delle nuove iniziative produttive o di vantaggio.

Altrimenti i nuovi minimi possono continuare ad applicare l'imposta del 5% fino al completamento dei 5 anni ovvero fino al 35º anno di età.

4    Soglie di ricavi e compensi fissati dal Ddl Stabilità per la permanenza nel regime dei minimi 2015.

Nel nuovo regime dei minimi cd. forfetario, il reddito viene quindi stabilito forfettariamente, ossia,  applicando un coefficiente di redditività sul reddito complessivo dato dalla somma di ricavi/ compensi oltre le uscite con la sola possibilità di deduzione dei contributi previdenziali versati nell'anno di imposta. Sul reddito così calcolato si applica poi l'aliquota del 15% per IRPEF e addizionali regionali e comunali e IRAP. Se i ricavi e i compensi superano le soglie elencate, il contribuente fuoriesce dal regime agevolato.

5    Differenza rispetto al “vecchio”regime

La sostanziale differenza rispetto al vecchio regime è che nel 2015 tutti possono entrare nel regime agevolato autonomo a patto che non vengano superati i limiti dei ricavi, che, a seconda dell'attività svolta, variano dai 15.000,00 ai 40.000,00.

Per converso, fino al 2014 si poteva entrare nel regime dei minimi nel rispetto di requisiti molto rigidi in merito al limite di età e ricavi a 30.000.

lunedì 27 ottobre 2014

Gli istituti bancari, applicando l’anatocismo, hanno di fatto sottratto denaro non dovuto ad un considerevole numero di risparmiatori, sia privati che aziende.
A determinare tale indebito arricchimento a favore degli istituti di credito è la pratica di capitalizzazione trimestrale degli interessi, dichiarata illegittima dalla Corte di Cassazione.

la Suprema Corte è, infatti, recentemente intervenuta sull’argomento per ribadire ancora una volta l’illegittimità della pratica anatocistica, con sentenza n. 15135 del 2 luglio 2014, con la quale ha stabilito che l’anatocismo su base trimestrale non può neppure essere sostituito da quello annuale.


COSA SI INTENDE PER ANATOCISMO BANCARIO

Il termine “anatocismo bancario indica quel fenomeno giuridico-contabile per il quale gli interessi maturati sulle somme a debito del conto corrente e/o del mutuo bancario concesso al cliente, si sommano con il capitale, divenendo a loro volta produttivi di ulteriori interessi al tasso predeterminato dalle condizioni contrattuali.
In altre parole, l’anatocismo può essere definito come l’applicazione degli interessi sugli interessi.
La normativa codicistica (art. 1283 c.c.) pone, in generale, il divieto di anatocismo, permettendolo solo a determinate condizioni e con salvezza degli “usi contrari”.
Tale previsione, nello specifico, stabilisce che gli interessi possano maturare su altri interessi, salvo usi contrari, solo dal giorno della domanda giudiziale o come conseguenza di un accordo successivo alla scadenza di tali interessi e purché si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi.
Ove manchi la domanda o tale accordo successivo al maturare degli interessi, gli interessi possono essere conteggiati solo sul capitale scaduto.
Fino a poco tempo fa, le banche ritenevano che nei rapporti di conto corrente vi fosse un “uso normativo” di capitalizzare gli interessi che consentisse un’eccezione alla regola generale fissata dall'art. 1283 c.c. La suddetta pratica anatocistica si è protratta sino a quando, cambiando orientamento (sentenze nn. 2374, 3096 e 3845/1999) la Cassazione ha affermato l’illiceità del sistema ed il Governo è intervenuto con una nuova legislazione che ha regolamentato la materia (D.lgs. 4 agosto 1999 n. 342).

COME CALCOLARE IL TASSO ANATOCISTICO
Da un punto di vista pratico, il correntista e/o mutuatario, cui venisse applicato l’anatocismo dal proprio istituto bancario, si vedrebbe obbligato al pagamento sia del capitale, sia degli interessi pattuiti, nonché degli ulteriori interessi applicati agli interessi scaduti.
Per meglio comprendere la dinamica anatocistica, risulta utile il seguente esempio.
Supponiamo che un correntista nell’anno abbia uno scoperto medio sul conto corrente di €. 10.000,00 ed il tasso di interesse passivo medio sia del 5% a trimestre.

Quello che segue è il sistema di calcolo legale:

TASSODI INTERESSE: 5% TRIMESTRALE – CAPITALE A DEBITO: 10.000,00
TRIMESTRE
CAPITALE
INTERESSE
SALDO DI C/C

               I
10.000,00
500,00
10.500,00

               II
10.000,00
500,00
11.000,00

               III
10.000,00
500,00
11.500,00

               IV
10.000,00
500,00
12.000,00

TOTALE INTERESSI PASSIVI ANNUALI: 2.000,00 (interesse SEMPLICE)


Questo, invece, il sistema di calcolo adottato illegittimamente dagli istituti di credito:
TRIMESTRE
CAPITALE
INTERESSE
SALDO DI C/C
               I
10.000,00
500,00
10.500,00
               II
10.500,00
525,00
11.025,00
               III
11.025,00
551,25
11.576,25
               IV
11.576,25
578,81
12.155,06
TOTALE INTERESSI PASSIVI ANNUALI: 2.155,06 (interesse COMPOSTO)

Come si evince, con la capitalizzazione trimestrale gli interessi nell’anno ammonteranno ad €. 2.155,06, mentre senza capitalizzazione essi ammonteranno ad € 2.000,00.
Pertanto, qualunque cittadino o azienda che abbia intrattenuto con un istituto bancario rapporti di conto corrente, usufruendo di apertura di credito con saldi passivi può avere subìto degli illeciti addebitamenti di interessi anatocistici. A identica conclusione si perviene nell’ipotesi di mutui bancari.

COME OTTENERE IL RIMBORSO PER ANATOCISMO BANCARIO
Per accedere alla restituzione delle somme indebitamente pagate è importante sapere che:
a)      il conto corrente non deve essere ancora chiuso ovvero deve essere stato chiuso entro gli ultimi dieci anni;
b)      il correntista deve produrre il contratto di conto corrente, nonché gli estratti conto trimestrali completi di elenco movimenti. Riassunto scalare e riepilogo competenza. Con riferimento al mutuo bancario, il correntista dovrà produrre il relativo contratto ed ogni documento informativo inerente.

CONSULENZA ANATOCISMO 
L’iter da intraprendere è il seguente:
  • Pre - analisi contabile
  • Assunzione dell’incarico da parte dello studio
  • Redazione della perizia
  • Diffida alla banca
  • Ricorso alla procedura di mediazione obbligatoria ai sensi del D.lgs n.28/2010
  • In caso di mancato accordo, citazione in giudizio dell’istituto di credito.

Il team di Diritto Bancario dello studio Giambrone ,  coordinato dall’ Avv. Pietro Alosi, a seguito dell’analisi preliminare, offre la possibilità di proseguire con l’accertamento dell’anatocismo bancario da parte dalla banca e il relativo recupero del maltolto.
Per ulteriori informazioni è possibile contattarlo tramite mail al seguente indirizzo: pietro.alosi@giambronelaw.com




È stata riconosciuta dal Tar la legittimità della previsione di uno Statuto per i Consorzi di gestione degli imballaggi.

Forma consortile come strumentale al perseguimento delle finalità di interesse pubblico

I consorzi hanno una personalità giuridica di diritto privato, senza fine di lucro, ma al contempo svolgono funzioni di interesse generale per la collettività, assumendo un rilievo di carattere pubblicistico nel campo ambientale, poiché contribuiscono alla protezione dell’ambiente e alla salute dell’uomo.

Obbligo della forma consortile - Casistica

Le ragioni di tale rilevanza pubblicistica sono rintracciabili nella costituzione ex lege dei Consorzi e nell’obbligo dei produttori, i quali non provvedano secondo modalità alternative come ad esempio: -
-       l’organizzazione autonoma dei propri rifiuti di imballaggio;
-       attestazione di messa in atto di un sistema di restituzione dei propri imballaggi,
di partecipare a consorzi stessi per adempiere le prestazioni e conseguire gli obiettivi di interesse pubblico stabiliti dagli ordinamenti comunitario e nazionale, ossia:
-       ritirare e garantire il riciclaggio dei rifiuti di imballaggio provenienti dalla raccolta differenziata effettuata dai Comuni;
-       raccogliere gli imballaggi secondari e terziari da utenze produttive private e avviarli al recupero e al riciclaggio.

Mezzi finanziari per il funzionamento del Consorzio

I mezzi finanziari per il funzionamento dei Consorzi provengono in larga parte da risorse degli utenti, operatori, consumatori, mediante l’applicazione di un contributo ambientale (Cac).
Questo contributo, pur non avendo carattere tributario, diviene parte integrante del prezzo di vendita dell’imballaggio con una traslazione del costo a carico del consumatore finale.

Poteri di vigilanza dell’Amministrazione sui consorzi

Lo statuto del Consorzio deve rispettare il prototipo adottato con decreto ministeriale, in quanto le risorse necessarie per lo svolgimento dell’attività del consorzio di filiera sono garantite da norme di legge per conseguire obiettivi di carattere generale posto a carico dei cittadini.

Avv. Martina Chiello
Studio Legale Giambrone


Info: 091 7434778 
martina.chiello@giambronelaw.com 



giovedì 23 ottobre 2014

Il “contratto di rete” formalizza l’accordo con cui due o più imprese individuano occasioni di collaborazione e scambio nell’ottica del raggiungimento di obiettivi condivisi di incremento e potenziamento della propria capacità innovativa e della competitività aziendale, fermo restando la autonomia delle singole parti contraenti.
Al di là della responsabilità limitata al fondo patrimoniale comune per le obbligazioni contratte per il perseguimento del progetto di rete, la riduzione dei costi di gestione, la possibilità di favorire lo sviluppo di nuove competenze, prodotti e know-how, come la opportunità di accedere al credito sulla base di appositi modelli di rating e a specifiche agevolazioni fiscali, costituiscono i più significativi vantaggi offerti da questo nuovo strumento contrattuale alle moderne realtà imprenditoriali. 


Chi può ricorrere al contratto di rete di impresa

Possono ricorrere allo strumento contrattuale in esame esclusivamente coloro i quali esercitino una “attività imprenditoriale”, indipendentemente dalla veste giuridica assunta (imprese individuali, società di persone, società di capitali, imprenditori pubblici, enti pubblici - purchè abbiano, in quest’ultimo caso, come scopo principale o esclusivo lo svolgimento di un’attività di impresa, non necessariamente commerciale- etc). Ai fini del contratto, non assumono rilevanza preclusiva i fenomeni di collegamento o eventuali rapporti partecipativi tra i soggetti.
La struttura “aperta” del contratto, rende quest’ultimo uno strumento vivente e dinamico, teso all’adesione futura di nuovi soggetti. A tale riguardo, sarà opportuno predisporre originariamente, in sede redazionale, i criteri soggettivi ed oggettivi, i requisiti necessari alla ammissione e le concrete modalità in cui essa viene accordata.

La forma, la pubblicità e le semplificazioni introdotte a Settembre

La legge,  anteriormente alle semplificazioni introdotte a Settembre, richiedeva la forma della scrittura privata autenticata o dell’atto pubblico notarile “ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater”, ovvero a fini dell’iscrizione del documento presso  la Sezione del Registro delle imprese in cui è registrata ciascuna impresa partecipante. Tale adempimento, invero, assume un rilievo centrale in quanto da esso dipende -tutt’oggi- l’efficacia del contratto non solo nei confronti dei terzi, ma anche dei partecipanti.

Come anticipato, a far data dal 25 Agosto 2014, giorno in cui è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DM 122/2014, con annesso  il modello standard per la trasmissione del contratto di rete al registro delle imprese,  è stata rivoluzionata la procedura inerente alla sottoscrizione del contratto e alla sua registrazione.  Alla data odierna, il contratto può “anche” essere firmato direttamente dai singoli imprenditori -o legali rappresentanti delle società coinvolte nel contratto, in ossequio a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del Dlgs 82/2005 in materia di firma digitale, senza ricorrere ad alcuna autenticazione. Il modello, una volta compilato e sottoscritto con firma digitale, può essere trasmesso al Registro delle Imprese attraverso la procedura telematica resa disponibile nell’apposita area web a ciò dedicata sul sito del registro delle imprese. Completata la registrazione, il sistema rilascia una ricevuta attestante il completamento dell’operazione. Stesse regole formali e pubblicitarie potranno essere osservate in seguito, nei casi in cui si rendano necessarie modifiche soggettive, oggettive e/o contenutistiche del contratto.
  
L’oggetto del contratto 

L’art. 3, comma 4-ter, della Legge 9 aprile 2009, n. 33 (con cui è stato convertito l D.L. 10 febbraio 2009), così come modificato dal D.L. del 31 maggio 2010, n. 78 convertito nella Legge 30 luglio 2010, n. 122, prevede espressamente, con riferimento all’oggetto del contratto, che
“più imprenditori, allo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”, si obblighino “a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. 

I contenuti

L’art. 3 comma 4-ter della Legge 9 aprile 2009 n. 33, così come modificato dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122, è la norma di riferimento per la disciplina dei contenuti del contratto di rete. Alcuni elementi devono essere inseriti tassativamente, altri, invece, possono essere inseriti a mera discrezione delle parti contraenti.
Tra gli elementi essenziali, si annoverano i seguenti :

-         Nome, ditta, ragione / denominazione sociale di ogni partecipante
-         La indicazione degli obiettivi strategici di innovazione
-      Un programma di rete (con annessa indicazione dei diritti e degli obblighi di ciascun contraente, i modi in cui può essere realizzato l’affare)
-         La durata del contratto
-         Le regole che disciplinano l’adesione di nuovi contraenti
-         Le regole per la assunzione delle decisioni
Tra gli elementi facoltativi, invece, si annoverano i seguenti :
-         La istituzione di un fondo patrimoniale comune
-         La nomina di un organo comune incaricato di gestire la esecuzione del contratto
-         Clausole legittimanti il recesso anticipato


Il trattamento fiscale della rete di impresa

L’art. 42 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 (convertito nella Legge del 30 luglio 2010 n. 122), ha introdotto un’agevolazione fiscale in favore delle imprese contraenti. In particolare,  gli utili di esercizio che le parti abbiano accantonato in un’apposita riserva e destinato al fondo patrimoniale per la realizzazione degli investimenti previsti dal programma di rete, qualora esso sia stato asseverato dagli organismi abilitati, vengono assoggettati ad uno speciale regime di sospensione di imposta che opera ai soli fini delle imposte sui redditi (IRPEF ed IRES).

La sospensione opera su una variazione in diminuzione della base imponibile, che si protrae per tutti gli esercizi successivi sino al verificarsi degli eventi che pongono termine alla agevolazione.
L’agevolazione può essere fruita solo in sede di versamento del saldo delle imposte sui redditi. Ai fini del calcolo degli acconti, quindi, l’accantonamento a riserva non produrrà alcun effetto, dovendosi calcolare gli acconti senza tener conto dell’agevolazione. Ove gli acconti versati risultassero eccedenti l’imposta dovuta, per effetto della variazione in diminuzione del reddito si genererà un credito di imposta (IRPEF/IRES) utilizzabile secondo le modalità ordinarie.

Quanto ai presupposti, possono accedere a tale agevolazione le imprese che abbiano sottoscritto il contratto di rete di impresa, indipendentemente dalla loro forma giuridica, ragione sociale, dimensione aziendale. Inoltre, il contratto deve essere stato regolarmente registrato 

Il programma di rete deve essere stato preventivamente asseverato da parte degli Organismi a   ciò preposti 

Gli importi destinati dall’impresa partecipante al contratto di rete devono costituire una quota degli utili di esercizio accantonati a riserva (con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo   degli adempimenti informativi e contabili).

 Le somme accantonate devono essere destinate alla realizzazione degli investimenti del programma di rete;
La effettiva destinazione degli utili conferiti al fondo rispetto al programma che il contratto tende a realizzare, è uno dei presupposti essenziali per godere dell’agevolazione fiscale. Ciò è soprattutto dimostrato dal fatto che il regime di sospensione dall’imposta sui redditi può venir meno, oltre che nel caso di recesso dal contratto di rete, nel caso in cui la riserva venga utilizzata per scopi diversi dalla copertura delle perdite; 

Il programma di rete dovrà dunque contenere la previsione e la individuazione degli investimenti che in concreto debbono essere realizzati. Tali “investimenti” possono consistere tanto nell’assunzione dei costi per l’acquisto o utilizzo di beni e/o servizi quanto nell’assunzione dei costi per l’utilizzo di personale.

È opportuno segnalare come l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 15/E del 14 Aprile 2011, abbia già offerto i primi chiarimenti del caso. Sono considerati ammissibili anche i costi relativi a beni, servizi e personale messi a disposizione da parte delle imprese aderenti al contratto di rete, rilevando a tale fine il costo figurativo relativo all’effettivo impiego di detti beni, servizi e personale. Sarà quindi onere di chi voglia fruire dell’agevolazione dimostrare, con prove documentali di natura contabile ed amministrativa, che detti costi sono stati sostenuti per dare attuazione al programma di rete. E’ inoltre necessario che gli investimenti del programma di rete siano realizzati entro l’anno successivo alla delibera di accantonamento degli utili.


Avv. Giovanni Incardona 

for Giambrone 

giovanni.incardona@giambronelaw.com